Qualche settimana fa la NASA ha pubblicato un confronto dell’inquinamento da biossido di azoto in Cina prima e dopo le misure restrittive per contenere la diffusione del coronavirus SARS-CoV-2. L’aria sopra Wuhan, Pechino e le altre metropoli Cinesi sembrerebbe essersi ripulita grazie alla quarantena e al rallentamento dell’attività economica. È stato stimato che addirittura 77 mila vite siano state salvate grazie a questa riduzione dell’inquinamento. Oltre al biossido d’azoto (strettamente correlato all’utilizzo di combustibili fossili), CarbonBrief ha stimato che anche le emissioni di anidride carbonica di febbraio si siano notevolmente abbassate rispetto all’anno scorso. Nelle due settimane dopo l’inizio della quarantena, le emissioni si sono ridotte secondo le stime di circa il 25% e almeno 100 milioni di tonnellate di CO2 (!) sono state risparmiate. Sebbene di portata diversa, scenari di riduzione delle emissioni si stanno presentando anche in Italia e si vedranno probabilmente in tutti i paesi dove il virus si sta diffondendo.

Concentrazione del biossido d’azoto in Cina, prima e dopo le misure per contenere il SARS-CoV-2 [Fonte: NASA]

In termini di cambiamento climatico questo fenomeno ci fa riflettere. La prima considerazione è prettamente fisica e risponde alla domanda: “Si abbasserà la temperatura globale grazie a queste riduzioni?”. Benché benefiche per la qualità dell’aria e la salute di chi vive in città, queste riduzioni potrebbero avere tuttavia un effetto irrilevante sul clima. I cambiamenti climatici e la temperatura a lungo termine sono direttamente correlati alla concentrazione in atmosfera dei gas a effetto serra, principalmente della CO2. Finché la rimozione di CO2, grazie ad esempio alla riforestazione o a tecnologie di cattura e stoccaggio, non sarà maggiore delle nostre emissioni, anche emissioni ridotte porteranno ad un aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera e, inevitabilmente, ad un futuro innalzamento della temperatura. Ciononostante, questo rallentamento potrebbe regalarci un po’ di tempo e permetterci di invertire il trend prima che si raggiunga il punto di non ritorno, stimato tra 7-8 anni al ritmo delle emissioni pre-COVID-19. La riduzione dell’attività industriale e dei trasporti potrebbe tuttavia portare anche a effetti secondari indesiderati. In questi anni, le emissioni di particolato, anch’esse correlate all’utilizzo di combustibili fossili, oltre ad aver peggiorato la qualità dell’aria e causato innumerevoli morti premature, hanno svolto un ruolo “benefico” sul clima. Sebbene vi sia ancora incertezza sull’entità dell’effetto, il particolato, riflettendo parte della radiazione solare, ha mitigato l’effetto serra causato dalle nostre emissioni. Una riduzione improvvisa di particolato come quella che si sta verificando adesso in Cina, potrebbe quindi innalzare ulteriormente le temperature nel breve termine e rendere ancora più estremi eventi meteorologici locali.

Se nei prossimi anni continueremo ad emettere allo stesso ritmo pre-COVID-19, tra 7-8 anni avremo esaurito il budget di carbonio che ci è concesso per rimanere sotto il grado e mezzo in più rispetto all’era preindustriale. [Fonte: CarbonBrief]

La seconda riflessione, più ottimista e meno scientifica, ci fa vedere la diffusione del virus come un possibile punto di svolta. Nonostante tutta la sofferenza che il virus inevitabilmente si porterà dietro, il rallentamento dell’attività produttiva potrebbe rappresentare lo scenario perfetto per far ripartire l’economia mettendo in pratica quelle politiche necessarie a mitigare ed adattarsi ai cambiamenti climatici. Anziché investire nelle tradizionali tecnologie alimentate da combustibili fossili, gli stati potrebbero ripartire investendo in quei servizi e tecnologie a bassa intensità di carbonio indispensabili per sopravvivere nel prossimo futuro: energia rinnovabile distribuita, efficientamento energetico e messa in sicurezza degli edifici, rimozione di CO2 dall’atmosfera, rimboschimento e rinaturalizzazione.

Scegliere di mitigare e adattarsi ai cambiamenti climatici potrebbe voler dire anche evitare di rivivere altre pandemie come questa in futuro. Il passaggio dei virus da animali selvatici all’uomo è facilitato dalla distruzione degli ecosistemi e dalla penetrazione dell’uomo in aree incontaminate del pianeta. Scegliere di investire in conservazione degli habitat significherebbe limitare il contatto con queste specie. Inoltre, la diffusione e l’adattamento dei virus in nuove aree del pianeta sono facilitati dai cambiamenti climatici. In Italia, ad esempio, l’aumento di temperatura ha fatto in modo che malattie tropicali come febbre del Nilo, Zika, Chikungunya, Dengue o febbre gialla si stiano diffondendo per la prima volta. I cambiamenti climatici potrebbero anche riportare in vita virus sconosciuti (o considerati scomparsi) rimasti fino a oggi intrappolati nei ghiacciai. Qualche settimana fa, ad esempio, un team di scienziati ha trovato 28 gruppi di virus sconosciuti in una carota di ghiaccio estratta in Tibet.

Il passaggio dei virus all’uomo dagli animali selvatici è facilitato dalla distruzione degli ecosistemi. [Fonte: WWF]

Qualche settimana fa il ministro della Salute Speranza ha dichiarato: “La salute vale più dell’economia”.  La “salute” di tutto il mondo dipende da come ci comporteremo in questi anni nei confronti dell’emergenza climatica. Il COVID-19 ci sta facendo vedere che è possibile ridurre le nostre emissioni per un bene più grande, che si possono evitare spostamenti e conferenze inutili, che si può lavorare da casa, ecc. La vita come la stiamo vivendo in questi giorni sarà la normalità in futuro se non facciamo nulla per contrastare il collasso ecologico. Tocca a noi sfruttare questo momento per capire che non siamo indipendenti dalla natura e per ripartire creando un sistema che mantenga questo trend di riduzione delle emissioni. Se non ora, quando?

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Alessandro è un ingegnere ambientale e lavora attualmente come funzionario scientifico presso il centro comune di ricerca (JRC) della Commissione Europea. Si occupa di impatti ambientali e di sviluppo sostenibile. Collabora con SIMBIO dal 2015 ed è attualmente membro del comitato scientifico.